coriete della sera

Il fermo ha innescato l’assalto a una stazione di polizia cinese
Disordini in Tibet, arrestati 90 monaci
Rivolta dopo la «scomparsa» di un ribelle che si sarebbe gettato nel fiume Giallo: il corpo non è stato trovato

Tibet, il Dalai Lama accusa la Cina: «Centinaia di migliaia di morti» (10 marzo 2009)

Dal nostro corrispondente Marco Del Corona

PECHINO – L’ordine non regna fra i tibetani. Qualcosa sta succedendo nel Qinghai, la provincia cinese che rappresenta la porzione settentrionale del Tibet storico. Alcune centinaia di monaci hanno attaccato sabato una stazione di polizia e la manifestazione è sfociata ieri in oltre 90 arresti. Secondo fonti della diaspora, i tibetani coinvolti nell’assalto di Ragya sarebbero stati circa 2 mila tra cui centinaia di lama e alcuni tra funzionari e agenti – scrive l’agenzia Xinhua – sarebbero stati feriti in modo lieve. Significativo che la stessa Xinhua non abbia potuto fare a meno di diffondere l’informazione. Integrando la versione cinese con i dettagli dati dagli esuli tibetani, causa scatenante sarebbe stato il fermo di un monaco di 25 anni che aveva mostrato la bandiera tibetana. Avrebbe chiesto di andare in bagno, riuscendo così a scappare, e nella fuga si sarebbe gettato nel Fiume Giallo. La blindatura che le autorità di Pechino hanno dispiegato sul Tibet e nelle aree tibetane delle regioni limitrofe non riesce dunque a essere totale.

Qualcosa sfugge, benché gli anniversari più sensibili siano trascorsi: il 10 marzo, mezzo secolo dall’avvio della fallita insurrezione che culminò con la fuga del Dalai Lama, e il 14, un anno dalla rivolta e dai morti di Lhasa. Manca una data: sabato prossimo, 28 marzo. Le autorità l’hanno consacrata all’«emancipazione dei servi», liberati solo col pieno avvento del socialismo nel 1959. Pechino ha collocato la festa nel quadro di una offensiva mediatica potentissima, s’è fatto avanti anche il Panchen Lama riconosciuto da Pechino (quello indicato dagli emissari del Dalai Lama vive invece sorvegliato in una località segreta), a sua firma appare oggi un editoriale sul Quotidiano del Popolo in cui loda il Partito comunista, perché «i fatti mostrano che solo sotto la sua guida il Tibet ha potuto raggiungere la prosperità di oggi e aspirare a un futuro ancora migliore». Ma oltre la propaganda c’è un livello diplomatico, perseguito premendo sugli Stati intenzionati a ricevere il Dalai Lama. Il Sudafrica, a leggere il Sunday Independent, sarebbe stato così ubbidiente a Pechino da rifiutare l’ingresso al Dalai Lama, invitato a una conferenza con altri Nobel per la Pace. Il vescovo Desmond Tutu ha chiesto spiegazioni. Il Dalai Lama no: come vanno le cose lui lo sa.

23 marzo 2009