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Tibet, scontri e arresti: ucciso un monaco
Via libera a turisti stranieri nella zona
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PECHINO (30 marzo) – Un monaco tibetano è stato ucciso dalle forze di sicurezza cinesi nella provincia a forte presenza tibetana del Sichuan, nell’ovest del Paese. La notizia, data ad un’agenzia di stampa internazionale, non è stata confermata da altre fonti.

Il monaco avrebbe incitato i contadini ad opporsi ad una campagna lanciata dal governo locale per rilanciare l’agricoltura. Gli incidenti si sono verificati nella contea di Luhuo ed il monaco apparteneva al monastero di Hor Drago, Shouling in cinese.

Incidenti sono stati segnalati nello stesso Sichuan e nel vicino Qinghai. Almeno duecento persone sono state arrestate e un monaco si è suicidato dopo essere stato torturato, secondo le denunce dei gruppi di esuli tibetani.

Via libera a turisti stranieri nella zona. Proprio oggi la Cina ha annunciato che dal 5 aprile la Regione Autonoma del Tibet sarà riaperta ai turisti stranieri dopo un mese di «lockdown», quando la Regione Autonoma e le zone a popolazione tibetana di altre tre province sono state chiuse e controllate da un massiccio schieramento della Polizia armata del popolo, un corpo paramilitare addetto al controllo dell’ordine pubblico.

Ora la regione è «armoniosa e sicura» ha affermato un alto funzionario della Regione Autonoma del Tibet in una dichiarazione all’agenzia Nuova Cina. «Il Tibet riprenderà a ricevere turisti stranieri il 5 aprile e noi diamo a tutti loro un caldo benvenuto», ha dichiarato il funzionario, un tibetano di nome Bachug. «Fino ad ora è stato chiuso per ragioni di sicurezza…» ha aggiunto.

grande assente il Dalai Lama, Considerato «un fuggiasco politico»

Tibet, 50 anni di occupazione: la Cina festeggia l’«emancipazione dei servi» Cerimonia con 13mila persone a Lhasa. Gli esuli: «Cinquant’anni di oppressione e torture»

– Con una cerimonia a Lhasa, la capitale della regione autonoma del Tibet, il governo cinese ha festeggiato la «Giornata dell’Emancipazione dei Servi»: una festa con la quale Pechino vuole rivendicare il suo ruolo «liberatore» nella regione, ma che i tibetani in esilio liquidano come la «celebrazione di 50 anni di oppressione». La festa era stata istituita all’inizio dell’anno. Alla cerimonia inaugurale, trasmessa in diretta tv in Cina, ha partecipato il presidente della regione autonoma, il tibetano Champa Phuntsok (membro del Partito comunista). Issata di fronte al Potala, simbolo di Lhasa e antica residenza del Dalai Lama, la bandiera cinese sentolava di fronte a 13.000 persone, la gran parte vestita con abiti tradizionali tibetani. Tra gli oratori un soldato dell’Esercito di Liberazione Popolare, un tibetano che si è autodefinito «un antico servo» e «studenti».

Grande assente, la stampa straniera che continua a non poter entrare in Tibet. La festa comunista è una risposta alle celebrazioni dei tibetani in esilio, il 10 marzo, cinquantesimo anniversario della ribellione della popolazione contro il regime comunista. Ma per i tibetani in esilio e le organizzazioni non governative all’estero, la «Giornata dell’Emancipazione degli Schiavi» è una provocazione di Pechino. L’organizzazione «Studenti per un Tibet Libero» ha organizzato manifestazioni di protesta a Londra, New York, Parigi e Dharamsala, l’attuale residenza in India del Dalai Lama. Gyaltsen Norbu, il ragazzo scelto dai vertici comunisti per rimpiazzare il Panchen Lama scelto dal Dalai Lama, ha invece detto venerdì che «l’emancipazione dei servi è totalmente in linea con i principi buddisti». Apparso ripetutamente sulla scena negli ultimi tempi, il Panchen Lama, seconda figura di spicco del buddismo tibetano, ha partecipato a Wuxi, in Cina, al II Foro Buddista Mondiale, dinanzi a un migliaio di rappresentanti delle comunità buddiste di 50 Paesi. Assente di spicco il Dalai Lama, che non è stato invitato dagli organizzatori perché considerato «un fuggiasco politico». E la presenza del Panchen, 19 anni, non fa che aggiungere polemica alla riunione, perché i tibetani in esilio lo considerano un «fantoccio» di Pechino e riconoscono come «numero due» un altro giovane, Gedhun Choekyi Nyima, rapito quando aveva appena sei anni insieme alla sua famiglia e che da allora si trova in una località sconosciuta.

VERGOGNA!!!!

TIBET AI TIBETATI FERMIAMO QUESTO STERMINIO!!!

E PECHINO ELOGIA PRETORIA: «Bene così»
Sudafrica, altolà al Dalai Lama
«Niente visto fino ai Mondiali»
E intanto salta la conferenza su razzismo e calcio dopo il boicottaggio dei premi Nobel per la pace

JOHANNESBURG – Il Dalai Lama non potrà entrare in Sudafrica sino al termine dei Mondiali di calcio del 2010. Lo ha annunciato il governo sudafricano dopo che, su pressione della Cina, aveva negato il visto al capo spirituale tibetano per partecipare alla conferenza sul calcio come strumento contro il razzismo e la xenofobia, prevista per venerdì 27 marzo a a Johannesburg.

RINVIO – La conferenza stessa è stata rinviata per il boicottaggio degli altri premi Nobel per la pace che avrebbero dovuto partecipare, ma che avevano annunciato che non si sarebbero presentati per protestare contro la decisione del governo sudafricano. Lo ha annunciato il presidente del comitato organizzatore della conferenza Irvin Khoza, uno dei responsabili locali anche per i Mondiali di calcio del 2010.

PECHINO: «IL SUDAFRICA HA FATTO BENE» – La Cina ha elogiato la decisione di Pretoria di non aver concesso il visto al capo spirituale tibetano. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Qin Gang, ha affermato che sempre più Paesi cominciano finalmente a comprendere che il Dalai Lama usa la religione come pretesto per ottenere l’indipendenza del Tibet. «Noi ci opponiamo fermamente a tutte le attività secessioniste del Dalai Lama in qualsiasi veste e sotto qualsiasi nome», ha aggiunto il portavoce.

24 marzo 2009

coriete della sera

Il fermo ha innescato l’assalto a una stazione di polizia cinese
Disordini in Tibet, arrestati 90 monaci
Rivolta dopo la «scomparsa» di un ribelle che si sarebbe gettato nel fiume Giallo: il corpo non è stato trovato

Tibet, il Dalai Lama accusa la Cina: «Centinaia di migliaia di morti» (10 marzo 2009)

Dal nostro corrispondente Marco Del Corona

PECHINO – L’ordine non regna fra i tibetani. Qualcosa sta succedendo nel Qinghai, la provincia cinese che rappresenta la porzione settentrionale del Tibet storico. Alcune centinaia di monaci hanno attaccato sabato una stazione di polizia e la manifestazione è sfociata ieri in oltre 90 arresti. Secondo fonti della diaspora, i tibetani coinvolti nell’assalto di Ragya sarebbero stati circa 2 mila tra cui centinaia di lama e alcuni tra funzionari e agenti – scrive l’agenzia Xinhua – sarebbero stati feriti in modo lieve. Significativo che la stessa Xinhua non abbia potuto fare a meno di diffondere l’informazione. Integrando la versione cinese con i dettagli dati dagli esuli tibetani, causa scatenante sarebbe stato il fermo di un monaco di 25 anni che aveva mostrato la bandiera tibetana. Avrebbe chiesto di andare in bagno, riuscendo così a scappare, e nella fuga si sarebbe gettato nel Fiume Giallo. La blindatura che le autorità di Pechino hanno dispiegato sul Tibet e nelle aree tibetane delle regioni limitrofe non riesce dunque a essere totale.

Qualcosa sfugge, benché gli anniversari più sensibili siano trascorsi: il 10 marzo, mezzo secolo dall’avvio della fallita insurrezione che culminò con la fuga del Dalai Lama, e il 14, un anno dalla rivolta e dai morti di Lhasa. Manca una data: sabato prossimo, 28 marzo. Le autorità l’hanno consacrata all’«emancipazione dei servi», liberati solo col pieno avvento del socialismo nel 1959. Pechino ha collocato la festa nel quadro di una offensiva mediatica potentissima, s’è fatto avanti anche il Panchen Lama riconosciuto da Pechino (quello indicato dagli emissari del Dalai Lama vive invece sorvegliato in una località segreta), a sua firma appare oggi un editoriale sul Quotidiano del Popolo in cui loda il Partito comunista, perché «i fatti mostrano che solo sotto la sua guida il Tibet ha potuto raggiungere la prosperità di oggi e aspirare a un futuro ancora migliore». Ma oltre la propaganda c’è un livello diplomatico, perseguito premendo sugli Stati intenzionati a ricevere il Dalai Lama. Il Sudafrica, a leggere il Sunday Independent, sarebbe stato così ubbidiente a Pechino da rifiutare l’ingresso al Dalai Lama, invitato a una conferenza con altri Nobel per la Pace. Il vescovo Desmond Tutu ha chiesto spiegazioni. Il Dalai Lama no: come vanno le cose lui lo sa.

23 marzo 2009

Dalai Lama Pictures, Images and Photos PER ALCUNI QUEST'UOMO E UN TERRORISTA, PER IL MONDO INTERO LUI E SOLO UN UOMO BUONO. PER ALCUNI IL MONDO E IDIOTA E LUI UN ASSASSINO. IL MONDO E FELICE DI ESSERE UN IDOTA COME QUEL ASSASSINO. il mondo a un sogno che si chiama Tibet Libero One word One Dream FREE TIBET
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